giovedì 17 gennaio 2019

Andy Murray: Till The End

Non lo so, non lo sai, non lo sa nessuno. Lo sa solo lui. Lo sa solo Andy Murray cosa si possa provare a dover arrendersi a forza. Perché per un combattente come lui, che in carriera ha sempre corso dietro ogni pallina, dando racchettate alle critiche, alle vittorie degli altri, a chi pensava che lì nell'olimpo lui fosse fuori luogo, essere costretto a lasciare così deve essere la cosa più dura. Chi in questi anni ha dubitato di lui ora se ne pentirà, perché di combattenti come lui ce ne sono stati pochi, probabilmente non ce n'era nessuno.



Andy Murray ha annunciato il ritiro, quella al primo turno degli Australian Open contro Bautista-Agut potrebbe essere stata la sua ultima partita in carriera, anche se tutto il mondo tennistico si augura possa chiudere le danze a Wimbledon davanti al suo pubblico, nello stadio che lo ha consacrato con due vittorie slam e una medaglia d'oro in casa storica.

Il dolore all'anca era troppo, troppo per resistere e continuare a competere ai suoi livelli. Le lacrime in conferenze stampa sono emblematiche: il sogno nel cassetto, la passione di una vita stroncata da un infortunio avuto nel periodo della maturità, avuto dopo il miglior periodo della propria carriera in cui aveva raggiunto la posizione numero uno del ranking e zittito un po' di invidiosi.
Una carriera travagliata di un animo combattuto e mai contento finita nel modo peggiore.
La frustrazione di essere nato in un'epoca sbagliata, con fenomeni come Federer e Nadal e soprattutto con quel coetaneo che di nome fa Djokovic sempre pronto a togliergli la torta da sotto il naso. Quell'oblio dell'essere il meno alieno dei marziani e il primo dei mortali, quelle infinite, troppe finali perse, quei h2h sempre troppo severi. Le critiche, gli sfottò, incoraggiati da un atteggiamento in campo alla McEnroe di chi non è mai contento e vuole di più. A livello di carattere e determinazione, anche se so di non avere molti sostenitori, Murray si è dimostrato il più grande tra i Fab4. Federer è talento puro, Nadal l'atleta per definizione, Djokovic la perfezione psicologica, ma a livello di carattere puro lo scozzese è stato il migliore. Perché per anni è stato quello "escluso" dai giochi, ma nonostante questo ha continuato a lottare, caparbiamente e ogni giorno, migliorando il suo gioco dal servizio al rovescio, dal dritto alla rete; ha migliorato spaventosamente il suo gioco sulla terra e ha incrementato una solidità mentale che a inizio carriera nessuno avrebbe immaginato gli sarebbe appartenuta. Non ha mai mollato, anche quando gli altri avevano gli slam in doppia cifra e lui arrivava sempre a un passo da vincerne uno ma senza riuscirci.

Ha sempre lavorato duro, senza piangersi addosso e comprendendo i meriti degli altri, rimanendo sempre convinto di poter colmare quel gap.
Purtroppo il destino è crudele e quando quel gap sembrava colmato, quando quel numero uno l'aveva finalmente raggiunto e nessuno più dubitava che gli elogi degli esperti fossero a caso, ci si è messa l'anca. Due anni di tormenti provando a rientrare e lottare contro un dolore lancinante fino ad arrivare a pochi giorni fa: una conferenza stampa, le lacrime, il dolore di chi ha questo sport ha dato tutto e ha ricevuto forse non abbastanza.
Il tennis ha un debito con Andy Murray e forse non glielo pagherà mai, ma si sa: le regole le fa il banco.
Non ha smesso di lottare, qualcuno lassù gli impedito di continuare a farlo.

Sir Andrew Barron Murray, still fighting till the fuc*ing end.

FifteenLove